Firmato l’Accordo Quadro su Aree e Comparti. Adesso la Legge di Stabilità deve rendere praticabili i rinnovi contrattuali
La firma odierna del contratto quadro sulle aree e i comparti segna il definitivo completamento di un lungo iter legislativo e negoziale che ha portato al riconoscimento dell’area autonoma della dirigenza medica e sanitaria che disporrà di un proprio contratto autonomo, specifico e distinto. E’ stata accolta pertanto la richiesta fondamentale della Confederazione – commenta Giorgio Cavallero, Segretario Generale della COSMED (Confederazioni Medici e Dirigenti) – e di tutte le sigle che la compongono con il riconoscimento della specificità della dirigenza medica e sanitaria. Continueranno a far parte del contratto della dirigenza sanitaria del SSN anche i medici e i dirigenti sanitari delle ARPA. Viceversa la dirigenza tecnica, professionale ed amministrativa del SSN trova adeguata collocazione nell’area della dirigenza delle Regioni e delle autonomie locali; le sigle della dirigenza amministrativa di Regioni e SSN mantengono la loro rappresentatività e tutte le loro prerogative negoziali in uno specifico e distinto contratto. E’ stata ribadita la collocazione nelle aree dirigenziali dei medici e dei sanitari del Ministero della salute e degli enti pubblici (AIFA, CRI) nonché dei medici e dei sanitari che operano negli Enti pubblici non economici (INAIL e INPS) e tutti i professionisti aggregati in precedenza alla dirigenza. Tutti questi soggetti faranno parte della dirigenza delle Funzioni Centrali.
La firma del contratto quadro rende possibile l’apertura dei tavoli negoziali per il rinnovo di tutti i contratti di categoria che nel pubblico impiego sono fermi da 7 anni: adesso – prosegue Cavallero – non ci sono più alibi o ostacoli normativi per la riapertura della stagione negoziale, fermo restando la necessità di adeguare le disponibilità economiche per i rinnovi contrattuali. Appare decisivo un intervento nella prossima legge di stabilità che implementi le risorse disponibili sia direttamente che indirettamente mediante decontribuzioni e detassazioni delle parti variabili dei salari e degli aumenti stipendiali, l’estensione al settore pubblico delle agevolazioni del cosiddetto “welfare aziendale”, il recupero dei tagli lineari ai fondi contrattuali aziendali che in questi anni hanno ridotto le retribuzioni effettive. Parallelamente dovranno cessare i tagli al pubblico impiego che in questi anni ha perso oltre 300.000 posti di lavoro e ha visto aumentare il lavoro precario. La spesa complessiva per le retribuzioni dei dipendenti pubblici si è ridotta di 13 miliardi annui.
Se il lavoro pubblico non deve essere la vittima sacrificale per altre operazioni, i tagli devono cessare e i risparmi vanno redistribuiti per difendere i servizi pubblici e la dignità dei dipendenti che vi lavorano. La questione è strettamente politica e implica delle scelte immediate da parte dell’esecutivo.
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