Pubblico Impiego, la modifica non basta. Pronti alla mobilitazione
L’AAROI-EMAC si dichiara non soddisfatta del testo approvato venerdì in CdM
Gli Anestesisti Rianimatori non si ritengono soddisfatti dalla modifica dell’ultim’ora apportata alla Riforma del Pubblico Impiego. E’ questa la posizione dell’AAROI-EMAC rispetto al testo di modifica del D.Lgs 165/2001 e della Legge 124/2015, approvato in Consiglio dei Ministri lo scorso venerdì.
«Non abbiamo alcuna intenzione di accontentarci a fronte di quella che consideriamo un’apertura di facciata – afferma Alessandro Vergallo, Presidente Nazionale AAROI-EMAC –. Non c’è stata una reale volontà di ascoltare le nostre ragioni, siamo convinti che le minime modifiche al testo originario di Riforma del Pubblico Impiego siano solo un tentativo di fermare la protesta.
“Ora abbiamo le carte in regola per lo sblocco dei contratti nel pubblico impiego”, ha detto il Ministro Madia nel presentare in conferenza stampa la riforma. Se obbligarci a giocare con un mazzo truccato – prosegue Vergallo – è la massima apertura che il Governo è in grado di offrire alle legittime richieste dell’Intersindacale dei Medici, dei Veterinari e dei Dirigenti Sanitari, tra cui quella inerente la salvaguardia del salario accessorio, per noi non ci sono affatto le premesse per il nuovo contratto, date anche le condizioni – spesso disastrose – di lavoro dei medici ospedalieri, soprattutto di quelli che lavorano in Unità Operative “di frontiera” come le sale operatorie, le rianimazioni, i pronto soccorso, che l’ AAROI-EMAC rappresenta.
L’unica cosa certa – afferma il Presidente AAROI-EMAC – è che il provvedimento approvato azzererà (o quantomeno ridurrà al lumicino) i fondi per posizioni e risultato, oltretutto disperdendoli nei mille rivoli delle contrattazioni decentrate aziendali, le quali storicamente non hanno mai consentito di aver precisa contezza della reale destinazione finale delle risorse economiche contrattuali destinate ai medici, mentre la salvaguardia della retribuzione individuale di anzianità rinviata all’atto di indirizzo e alla successiva contrattazione – magari anch’essa aziendale – minaccia di essere un massacro annunciato.
Per i medici precari, poi, si tratta di una vera e propria beffa. La stabilizzazione operata dalla Riforma pare infatti non riguardare i dirigenti medici, rinviandoli all´applicazione (semplicemente “prorogata”) della legge 28 dicembre 2015, n. 208, che da oltre due anni ha avuto efficacia applicativa tragicomica. Non è così che dovrebbe funzionare un Paese civile. Dopo anni di blocco dei contratti è necessario trovare risorse adeguate per tutte le categorie, non toglierle ad alcune per darle ad altre, per giunta con talune semisommerse benedizioni anche sindacali che gli “addetti ai lavori” conoscono benissimo.
Nella campagna mediatica governativa – sottolinea il Presidente AAROI-EMAC -, lo slogan inneggiante ad una strategia politica “alla Robin Hood” è stato sostituito da quello della “piramide capovolta”, che manifesta meno esplicitamente, ma altrettanto infelicemente, la legittimazione del furto stipendiale a danno dei “ricchi” medici. Ma l’Aran non ci risulta essere un Ente di ammortizzazione socio-economica, e – soprattutto – i medici ospedalieri italiani, in stragrande maggioranza, sono tutt’altro che ricchi: di certo non si arricchiscono con lo stipendio ospedaliero né i giovani medici, sempre più precari e sempre più costretti ad emigrare sia entro che fuori dai confini nazionali, né i meno giovani, che comunque, qualora pur abbiano avuto la ventura di un posto di lavoro stabile, subiscono oltre 8 anni di blocco economico.
Né le mai sopite polemiche sui proventi della libera professione dei dirigenti medici del SSN, grazie alla quale – dati alla mano – solo un’esigua minoranza incrementa sensibilmente i propri introiti, e una minoranza appena più consistente riesce in qualche modo a sopperire ai tagli subiti negli anni, possono, come implicitamente avviene, far da catalizzatore per penalizzare un’intera categoria: la libera professione è in realtà un sistema composito, in cui certamente vi sono da sempre correttivi da apportare, che evidentemente non sono stati posti in opera proprio per poterne strumentalizzare ad arte le rare storture che a scadenza più o meno regolare emergono sui media.
La nostra protesta – conclude Vergallo –, perciò, va avanti, fino a rischiare di arrivare, se costretti, ad un nuovo sciopero nazionale. Stavolta contro l’avvio della trattativa contrattuale: se dobbiamo rischiare di avere un contratto peggiore, tanto vale tenerci quello vecchio».
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